Essere gentili, altruisti, sentirsi parte della comunità, dell’umanità, dare senza voler nulla in cambio, sono azioni, stati, ai quali puntiamo e che fanno parte della nostra essenza di esseri spirituali e umani.
Questo modo di essere, pensare e agire ha un’ influenza energetica a livello planetario, soprattutto se la massa critica è alta, ovvero se tante persone e tante persone contemporaneamente, hanno questo tipo di atteggiamento mentale e conseguente azione.
I dati parlano chiaro; la gentilezza influenza la nostra salute, anche a livello genetico e rende tutto più efficace ed efficiente, anche nel mondo del lavoro. Un leader gentile ottiene di più e meglio dalle persone che guida.
Ma come facciamo a pensare agli altri, al pianeta? Come possiamo essere leader gentili?
Sembra un paradosso, ma dobbiamo prima di tutto pensare a noi stessi.
Il punto è che non si tratta di una debolezza, di un paradosso e di un controsenso solo se riusciamo a capire che cosa è il NOI STESSI, che cosa è IL MIO SÉ.
Siamo l’UNO diviso in molti e quindi se c’è qualcosa che non va in questi molti, come potrà esserci un UNO perfetto manifestato? Esisterà, come in effetti è, un UNO perfetto in Sè Stesso, non manifestato, il puro Spirito, ma, dal mio punto di vista non credo che questo sia il suo (nostro in quanto siamo Lui) obiettivo.
La perfezione del tutto si raggiungerà quanto ognuno di noi, come essere individualizzato, con un suo ego, uno suo karma e una sua Purpose – un suo Dharma – avrà raggiunto il risultato di ritornare al suo stato di perfezione, la propria origine divina.
Potrei sbagliarmi perchè non ho ancora fatto questa esperienza illuminante, ma quello che i grandi Maestri, Avatar, Santi ci hanno detto e dimostrato è questo; dobbiamo raggiungere la “perfezione” vivendo e non da morti!!
La base della gentilezza, del dare, dell’altruismo è, come ci siamo detti più volte, la conoscenza o almeno la percezione (può bastare anche solo l’immaginazione) che noi siamo un tutt’uno, che origina da un unico UNO che si manifesta in molti; ma la realtà è che sia spiritualmente che da un punto di vista fisico, chimico e biologico siamo tutti fatti della stessa “pasta”, anzi tutto è fatto delle stesse sostanze, quello che cambia è il contenuto informativo, energetico e soprattutto lo stato di coscienza. Quest’ultimo punto è quello che rende noi umani una speciale e unica manifestazione dell’UNO.
La percezione di una realtà divisa e finita e divisa, quella che in Sanscrito si chiama Maya, non è che non esista, è l’identificarsi con la divisione che ci porta alla sofferenza e non il vivere l’opportunità della divisione.
Pensateci è abbastanza ovvio: se tutto fosse unico, infinito e indiviso NON ESISTEREBBE NULLA E NON CI SAREBBERO ESPERIENZE, NEANCHE MENTALI, DI IDEE, CAUSALI.
Se però mi faccio intrappolare dall’idea che questa esperienza sia l’essenza ultima allora divento inconsapevole di chi sono e diamo il via all’insoddisfazione perenne.
Questo modo di vedere il tutto separato ci mette in una posizione di “bianco/nero”; o siamo altrusiti o ci facciamo i fatti nostri, dove per fatti nostri non si intende ledere a qualcuno e qualcosa, ma semplicemente pensare ai nostri desideri e al nostro “apparente” benessere dato dalle cose, circostanze, esperienze, emozioni e via dicendo…
Sembra una soluzione cattiva quella di pensare a se stessi e in effetti molte volte lo è. Il motivo è che pensare a se stessi significa per noi avere oggetti, controllo, soddisfazione delle nostre passioni e compulsioni.
Questo non è pensare a se stessi, questo è rincorrere e se rincorro alla fine ho il fiatone, sono stanco e non soddisfatto e magari mi sono anche perso qualche desiderio per strada.
I desideri sono importanti; desiderare è vita, è l’identificazione con il desiderio, ovvero il pensare che il tuo benessere dipenda da qualcosa, che ti porta sempre a cercare il nuovo, invece che semplicemente esserlo.
Se vogliamo fare l’esperienza, percepire, vivere o almeno immaginare questa unità, dobbiamo prima pensare a noi stessi ovvero dobbiamo scoprire l’origine divina che c’è in noi e come possiamo manifestarla nella vita; questo da origine alla Purpose (Dharma), questo è scoprire i propri talenti, questo è non identificarsi con l’esterno (EGO) ma usarlo.
Questo ultimo passaggio è importante; ognuno di noi ha una dote e una missione, che comprendere l’essere felici in noi stessi e quindi negli e per gli altri. Non ci dobbiamo vergognare di voler pensare solo a noi stessi prima di tutto; questa è la nostra missione e nel farlo stiamo già pensando al tutto.
Cosa non funziona in tutto questo?
Non funziona il fatto che noi non siamo comandati da dentro, ma dal fuori (da qui l“agisci sempre restando dentro”).
Questo fuori è dato da:
- le regole;
- la personalità che ci creiamo per soddisfare bisogni, compulsioni, passioni nostre o degli altri;
- la nostra mente che invece di essere il nostro più importante strumento per ottenere tutto quello che desideriamo, è lo strumento per ottenere quello che il fuori di noi vuole. Il fuori di noi vuole soddisfare dei bisogni che ci creano ansia e dipendenza o piacere (di brevissimo termine, effimero) con l’obiettivo che poi ne cerchiamo di nuovi. Queste sono le nostre tendenze mentali e praticamente tutte solo subconscie…karmiche.
Questo ci ha portato a pensare che preoccuparci prima di noi stessi che degli altri sia egoico e in effetti lo è; lo è perchè noi ci stiamo preoccupando di noi, ma delle nostre abitudini, della nostra illusione, del nostro attaccamento alle cose terrene perchè senza di quella “non siamo”.
Quando ci preoccupiamo veramente di noi esaudiamo i nostri dediseri per noi e per gli altri contemporaneamente perchè tutto è UNO.
Cosa fare:
- prendersi cura del proprio corpo
- prendersi cura della propria mente
- meditare
- quando nasce un bisogno aspettare prima di soddisfarlo e osservarsi, farne l’esperienza esterna
- desiderare con attenzione e intenzione perchè è bene per te e gli altri e non con l’idea “devo avere questo perchè quando l’avrò sarò….”
- togli i se e i ma….dobbiamo imparare a essere e agire nel presente.