IL SIGNIFICATO DI…
Dopo la pubblicazione del mio percorso di WellBeing e Leadership rivolto a CEO, Founder ed HR Leader, un professionista, imprenditore e leader, che ho incontrato durante un network di lavoro, una persona che non conosco nell’intimità, ma con la quale ho fatto delle belle chiacchierate e riflessioni, mi ha scritto: “ma il tema del Purpose non dovrebbe riflettersi sui modelli di misurazione?”
Già qui vedete la profondità di questa mente, di questo leader, perché questa domanda è molto diversa dal chiedere: “ma il (la) Purpose non andrebbe misurato?” Il fatto che si rifletta nei modelli di misurazione e quindi nei modelli aziendali, ma anche socio-economici (si dovremmo pensare al (alla) Purpose come nazione, Europa ecc ecc), ha per me un significato “meta-personale”, ha un significato relazionale. Misurare la Purpose significa pensarla come fine a sé stessa mentre legarla a modelli di misurazione significa invece metterla in relazione; ed è questo quello che vogliamo fare. Ma in relazione a cosa?
La Purpose, come scrivo nel mio libro, è il modo in cui esprimiamo la vita che abbiano dentro e la vita è relazione; quando dico che è relazione non intendo dire che “stare soli” sia una brutta vita, anche un eremita è in relazione con la vita, anzi probabilmente lo è più di tutti noi. Intendo invece comprendere, ognuno con i suoi modi e tempi, il meccanismo di questa relazione (della vita), comprendere che non c’è nulla in noi di separato e diverso dal resto della natura e delle sue leggi. Ognuno ha i suoi tempi e modi per farlo ed io posso aiutarvi come coach; per la maggior parte di noi non è fare l’eremita, ma comprendere insieme costruendo, creando, innovando, facendo impresa e famiglia. Ecco, se la Purpose fosse fine a sè stessa sarebbe innovare, costruire e tutto il resto, potremmo credere (come erroneamente facciamo) che l’innovazione (e tutto il resto…) abbia una sua identità, anche ontologica, fine a sé stessa, quando invece è “solo” uno dei processi della relazione.
E’ un rompicapo? Forse sì. Misurare la Purpose ci porta a credere che essa sia intrinseca in quello che facciamo, quando invece è la presenza in quello che facciamo; la Purpose c’è sempre e comprenderlo ci aiuta a trovare il nostro modo per esprimerla. Questa è la differenza sostanziale: la Purpose è una sorta di “condotto” (modo di essere fisiologico e mentale) che ci porta dalla presenza nella vita al modo in cui la esprimiamo e, se capiamo che è un condotto, capiamo che non ha una natura di per sé, ma è un collegamento. Ora voi vi mettereste a misurare questo collegamento? Dipende!
Di un collegamento come questo potremmo misurare la qualità, la velocità di collegamento tra entrata ed uscita, o meglio ancora potremmo misurare quanto di quello che c’è (forza vitale) riesca ad entrare nel condotto e uscire come relazione rinforzata tra tutti noi e tra noi e il tutto. Siamo quindi obbligati a fare un lavoro di costruzione e misurazione sia prima che dopo. Tornando alla domanda ma la Purpose dovrebbe riflettersi nei modelli di misurazione? Se intendiamo la Purpose in questo modo forse il risultato stesso, l’uscita dal “condotto della Purpose” è di per sé il termine di misurazione il che, per logica (almeno per la mia ah ah) equivale a dire che la Purpose non può essere misurata, possiamo solo misurare l’output e continuare, come alcuni di noi, questa persona compresa, stanno facendo, a creare ambienti, situazioni, oggetti, modelli, ma anche etica, che rifletta il più possibile la presenza nella vita. Quindi, caro …., trova il tuo modo di mettere la vita al centro e usa tutte le tue skill per costruire business e metriche che siano specchio del tuo lavoro di comprensione. Io una risposta migliore non ce l’ho, anche perché resta il fatto che, sembrerebbe, nella vita c’è sempre sia il bianco che il nero, che la vita, come dice Vito Mancuso, “si nutre di vita” e quindi rimane tutto un grande mistero.